Parafrasi - Opera Omnia >>  Giosue Carducci : « Odi barbare » Testo originale    




 

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X

NELLA PIAZZA DI SAN PETRONIO

Si scorge nel chiaro inverno la fosca Bologna ricca di torri e il colle [della guardia] è come se ridesse, al di sopra, ricoperto di neve.

È l'ora nella quale il sole sta per tramontare, smettendo di illuminare le torri e la chiesa di San Petronio, che si affaccia sulla piazza;

le torri i cui merli da tanto tempo la sfiorano e del solenne tempio la cima solitaria.

Il cielo brilla di un fulgore adamantino [simile a quello del diamante] e l'aria lascia passare la luce come se un velo d'argento giacesse

sulla piazza, sfumando lievemente attorno agli edifici che furono edificati dal braccio armato agli antenati.

Sulle alte cime si intravede il sole e guarda con un sorriso languido come una viola,

e pare che nella scura pietra nel fosco rossiccio mattone si risvegli l'anima [dormente] delle vicende dei secoli passati,

e attraverso l'aria gelida si risveglia un nostalgico desiderio di rossi tramonti di maggio, di calde e profumate sere,

quando le donne gentili danzavano in piazza e con i re vinti tornavano i consoli.

L'ispirazione poetica ride, fuggente al verso nel quale palpita il desiderio, ormai vano, della bellezza antica.



XXIX

ALLA STAZIONE IN UNA MATTINA D'AUTUNNO

Oh, i lampioni del viale che porta alla stazione che si susseguono monotoni dietro agli alberi bagnati dalla pioggia, illuminando il fango con luce fioca.

Un debole fischio acuto e stridulo proviene dal treno a vapore lì vicino. Il mattino d'autunno è caratterizzato da un cielo plumbeo, simile ad un fantasma che avvolge ogni cosa.

Dove e verso quale scopo va questa gente che si affretta taciturna e imbacuccata verso le carrozze? verso quale futuro ignoto si muove che si spera migliore?

Anche tu, Lidia, dai il biglietto al controllore perché lo vidimi, così come partendo dai un taglio e lasci al vaglio del tempo che scorre veloce gli anni della tua età bella, e i momenti di gioia e i ricordi.

I frenatori vanno e vengono lungo il convoglio nero, loro stessi incappucciati di nero, come se fossero degli spettri; hanno una lanterna che diffonde una debole luce e delle mazze di ferro: e con queste battono i freni di ferro [per verificarne lo stato]

emettendo un lugubre interminabile rintocco: suscitando per reazione uno stato emotivo simile ad una dolorosa attesa, e una dolorosa sofferenza dell'anima.

E gli sportelli sbattuti nel chiuderli paiono una beffa [ai danni di chi in cuor suo vorrebbe scender dal treno ma non può]: uno scherzo sembra l'ultimo invito a salire che con una sirena rapidamente si diffonde: una forte pioggia si abbatte sui vetri.

Il treno, il "mostro", il ladro di affetti, sembra compiaciuto del bottino che ha in sé, parte sbuffando, vibrando, diffondendo la luce dei suoi fanali; col suo arrogante fischio, penetra, affonda, nello spazio.

Va il mostro crudele; fugge via, come se stesse battendo le ali, portandosi la donna amata. Si scorge la pallida faccia di lei e il velo che indossava, e la si vede ancora per poco mentre saluta, prima di scomparire avvolta dalle tenebre.

La donna appena partita aveva un dolce viso macchiato da un pallido rossore, occhi che infondevano una pace celestiale, e capelli ricci che soavemente si posavano sulla fronte sfuggente!

[Ricordo] era la bella stagione ed ero pieno di vita, quando si era nella stagione estiva e la sorte volle essere benevola con me; e durante i primi caldi di Giugno, il sole sembrava quasi avere piacere di illuminare

tra mille riflessi i suoi capelli castani e le sue morbide guance: e, come una specie di aureola, sembrava cinta dai bei pensieri che provavo per lei, più di quanto potesse fare il sole di Giugno.

Mentre ora mi ritrovo sotto la pioggia, tra la nebbia, e con esse vorrei confondermi; barcollo come se fossi ubriaco, e mi tocco per sapere se per caso non fossi diventato un fantasma [e tutto questo non fosse vero].

Lentamente, come una lenta caduta di foglie da un albero, inesorabilmente muta silenziosamente e si intristisce l'animo mio! mi pare che questa mia tristezza sia anche la tristezza di tutto il resto del mondo, e che sempre sia stato così.

Meglio per chi ha perso la voglia di vivere, questa penombra, questa nebbia: fortemente voglio crogiolarmi in questa mia dolorosa stanchezza che mi pare debba essere eterna.



L

NEVICATA

Cade lentamente la neve dal cielo grigio come la cenere: non si sentono più provenire dalla città le grida e i rumori dovuti ad attività umane,

non si sentono le grida dell'erbaiola o il rumore di un carro in movimento, non si sentono le canzoni testimoni della contentezza dell'amore e della gioventù.

I rintocchi dell'orologio della torre della piazza [San Petronio, in Bologna] si riverberano attenuandosi, assomigliando a dei lamenti, lamenti di un mondo quasi fuori dal tempo.

Il picchiare degli uccelli contro i vetri appannati fa pensare, con una inattesa analogia, al richiamo degli amici morti, che ritornano con il loro sguardo silenzioso, quasi un tacito invito.

Invito che, spinto dalla voglia di placare i sentimenti di questo cuore irrequieto, non rassegnato, si vorrebbe quasi accettare, per trovare finalmente la pace nel silenzio e nell'oscurità [della morte].







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