LIBRO PRIMO
I
ALLA RIMA
Saluto alla rima, cercata dal poeta quando con fatica compone le sue creazioni; che poi si manifesta come una luce, una scintilla, uno zampillo che illumina i sentimenti del pubblico che la ritrova nel testo.
Rima che si presenta a coppie nei componimenti ritmici per le canzoni da ballo, come un qualcosa che in due versi permetta di unire tra loro, come due sospiri, la memoria e la speranza
Come risuonasti con leggerezza, cantata da uomini di stazza massiccia, nel corso di serene serate, quando i mietitori, divisi in tre giri, con il piede batteva il terreno con un ritmo ternario.
Come cantasti con forza risuonando minacciosa per l'aria, il coraggio dei vincitori, mentre [in battaglia] le lance sporche di sangue rumorosamente si infrangevano sugli scudi di ferro [del nemico].
Tu sentisti [oh rima] sgretolare Roncisvalle sotto la spada di Rolando, mentre, soffiando notte e giorno in un grande corno, risuonava per la valle il gran nome del condottiero.
Poi, quasi trasportata dalla criniera crespa e nera di Babieca [il cavallo del Cid Campeador] che galoppa, con fierezza hai contribuito a diffondere nelle città la gloriosa epopea del Cid Campeador.
Poi, lasciati gli eroi spagnoli, ti bagni nel leggere acque del Rodano e canti la lirica provenzale, con suoni che gareggiano con quelli di un usignolo, nei giardini della corte dei signori di Tolosa.
Tu hai messo la vela d'amore in poppa alla nave di Jaufré Rudel e rechi il bacio ardente del morente sulle labbra della contessa. [Il poeta provenzale, che aveva cantato Melisenda, contessa di Tripoli e che la amava senza mai averla vista, giunge a lei moribondo per ricevere il primo e ultimo bacio].
Ritorna, invitata in altre sponde [l'Italia], da l'austero e devoto Dante, che in rima raccontò il suo viaggio nelle viscere dell'Inferno, quindi sul monte del Purgatorio, prima di ascendere al cospetto di Dio.
Salute, oh rima, con felici risultati regina della tradizione poetica italiana! Un poeta ribelle [il Carducci] decide di usare te nelle sue poesia, senza che ciò significhi una rinuncia alla libertà della propria arte.
[Rima] testimonianza della tradizione dei padri della letteratura italiana, come loro risulti fonti di ispirazione e degna di attenzione al poeta. Salute a te, oh rima, che porti il poeta ad esprimersi con la parola "fiore" per i suoi sentimenti d'amore, con la parola "saetta" per i suoi sentimenti di odio.
IX
IL BOVE
Ti amo, o pio bue; e infondi nel mio cuore un mite sentimento di vigore e di pace, sia quando, solenne come un monumento, guardi i campi aperti e fertili,
sia quando trascinando il giogo aiuti con la tua forza possente il lavoro agile dell’uomo:
uomo che ti esorta percuotendoti, e la tua unica reazione e girare gi occhi verso di lui e guardarlo con distacco.
Dalla tu larga narice umida e nera esce il tuo fiato che si condensa, e come un inno lieto il tuo verso si riverbera nell'aria serena;
e nella austera dolcezza del tuo occhio azzurro e grave si rispecchia nella sua ampiezza e nella sua pace il divino silenzio della verde pianura.
XI
FUNERE MERSIT ACERBO
Tu [si riferisce al fratello Dante, morto suicida] che riposi per l'eternità in un cimitero posto in una collina fiorita della Toscana, sepolto accanto al padre; non hai sentito il pianto di un fanciullo, provenire dalle stesse viscere della terra in cui giaci tu?
È il mio figliolo, che bussa alla porta solitaria della tua tomba: lui che portava il tuo stesso nome, illustre e degno di rispetto, serbando il ricordo della tua esistenza, anche lui adesso ha perso la vita, o fratello mio, vita che a te fu causa di tanti dispiaceri.
Ahi no! giocava per le aiole in cui crescevano fiori variopinti, e la morte lo raggiunse quando ancora i suoi pensieri erano pieni di quelle gioiose fantasie infantili, e lo porto via con sé [alle rive dell'Acheronte,
il fiume che scorre nel regno dei morti]. [Fratello mio,] accogli il mio figliolo nel luogo buio e tenebroso in cui tu già risiedi, ora che lui mai più vedrà la luce del sole e sarà dall'affetto della madre
XXXIV
TRAVERSANDO LA MAREMMA TOSCANA
Oh mia dolce maremma, terra da cui presi molto del mio carattere fiero e della mia poesia libera e forte, e della mia anima dove amore e odio non si placano mai, finalmente ti rivedo e il mio cuore sobbalza nel petto.
In te riconosco bene le forme del tuo paesaggio a me note, mentre i miei occhi sono incerti e non sanno se sorridere o piangere, e mi ritornano in mente tutti i miei bei sogni giovanili.
Oh, quello che amai, quello che sognai fu inutile; ed io feci di tutto per realizzare le mie aspettative ma non ci riuscii, e presto morirò.
Ma il mio cuore è in pace, ora che vedo le tue colline, con le loro nebbie leggere, e il verde dell'erba luminosa per la pioggia mattutina.
XLII
PIANTO ANTICO
L'albero verso il quale orientavi la tua manina, il melograno dalle verdi foglie e dai rossi fiori,
nel silenzioso e solitario orto, è nuovamente germogliato e l'estate lo matura con il suo calore e la sua luce.
Tu figlio di questo povero corpo, invecchiato e sciupato dal tempo, tu unico dono di questa mia vita inutile,
giaci nella fredda terra di un camposanto, non potrai più vedere la luce del sole, ne godere dell'amore.
LVIII
SAN MARTINO
La nebbia, sciogliendosi in una leggera pioggerella, risale per le colline rese quasi ispide dalle piante ormai prive di fogliame e, spinto dal vento freddo di nordovest, il mare rumoreggia infrangendosi sulla scogliera, con onde dalla bianca spuma;
ma per le vie del piccolo paese contadino si diffonde, dai tini dove fermenta il mosto, l'odore aspro del vino nuovo che rallegra i cuori.
E intanto sulla brace del focolare scoppiettano le gocce di grasso che cadono dallo spiedo su cui cuoce la cacciagione; e il cacciatore se ne sta sull'uscio a guardare
stormi di uccelli che, a contrasto con le rosse nubi del tramonto, sembrano neri, come quei pensieri che si vorrebbe mandar via lontano.
LX
VISIONE
Il sole che sorgeva nel cielo invernale lentamente cominciava ad intravedersi tra il grigiore della nebbia, e l'erba appena nata dei campi lasciati a maggese brillava sotto gli sprazzi del sole.
Fluivano abbondantemente le acque del grande fiume Po, fluivano le acque del limpido Mincio. Contemplando questo, tornò alla mente di chi osservava un ricordo.
E ripensò con emozione, nel mezzo di quel panorama così illusorio e immateriale, alla sua giovinezza,
senza rammarico e rimpianti, soltanto come uno sprazzo di verde quasi fuori dal tempo circondato dalla nebbia [come il paesaggio che andava osservando].
LXXVII
IL COMUNE RUSTICO
Sia che la vostra ombra fredda si stampi solitaria sui campi verdi come lo smeraldo, al sole sgombro di nubi e non ancora caldo, sia che si diffonda cupa e immobile al tramonto sulle case poste intorno alla chiesa, in cui si sta celebrando messa, o al cimitero
silenzioso, o noci della Carnia, vi saluto! Il mio pensiero, vaga tra i vostri rami, sognando immagini di un tempo lontano. Non paura dei morti ed assemblee di diavoli goffi e di streghe bizzarre, ma i forti cittadini del comune che si rinfrescano all'ombra dell'albero, questo vedo in estate, la stagione dei pascoli, durante la domenica di riposo che segue la messa. Il magistrato a capo del comune dice, ponendo le mani sulla croce e il Vangelo: "Ecco io divido tra voi quella foresta
d'abeti e di pini, di là, sul confine, dove appare scura. E voi porterete laggiù le mandrie e i greggi. E per voi, se tornassero i barbari che invasero l'Italia settentrionale [se l'unno o se lo slavo], ecco le lance e le spade, pronti a morire per la nostra libertà."
Un forte sentimento di orgoglio riempiva i petti, facendo alzare le teste bionde; e il sole già alto nel cielo colpiva le fronti dei cittadini scelti per la difesa della patria. Mentre le donne piangevano sotto i loro veli, invocavano la misericordiosa Santa Maria Vergine. Con la mano tesa il magistrato continuava:
"Questo ordino, in nome di Cristo e della Madonna, e voglio che sia così per il popolo". E il popolo, nel gesto del giuramento, rispondeva: sì. E le rosse vacche sul prato vedevano la piccola assemblea, nobile come un senato, mentre tra gli abeti si riverberava la luce di mezzogiorno.
LIBRO SETTIMO
ÇA IRA
LXXXII
Splende il sole con tutta la sua forza sui colli di Borgogna e sulla valle di Marna, occupate dalla vendemmia: la terra della Piccardia che dal tempo della mietitura non è stata lavorata attende che l'aratro la prepari per la nuova semina.
L'uva, ostica da raccogliere, viene separata dalla pianta con un falcetto che pare una scure e le tracce di succo che cola sembrano sangue: sotto il rosso cielo della sera l'aratore allunga lo sguardo ai campi abbandonati dai contadini che si sono arruolati,
e fustiga i buoi scuotendoli così forte quasi da farli barcollare, e afferra il manico dell'aratro urlando: avanti, voi che siete come la Francia, avanti!
L'aratro scava solchi nella terra non facile da arare [e rendere feconda]: la terra fuma: l'aria è come se fosse resa cupa da fantasmi che sembrano nascere dal suolo.
LIBRO NONO
CV
CONGEDO
O popolo ignorante, il poeta non è come un accattone che con inganni e sotterfugi porta via le vivande dal tavolo della mensa di altri e ruba il pane dalle dispense.
Né tanto meno è un lavativo che gira a vuoto, sbattendo la testa contro le cantonate, e con il naso all'aria si diverte a guardare gli uccelli e gli angeli [come i matti senza più senso della realtà].
Il poeta non è nemmeno uno che scrive versi d'occasione, facendo le cose a caso, come un giardiniere che metaforicamente concima il sentiero della vita con il letame, o dona i cavolfiori ai signori, o le viole alle dame.
Il poeta è un grande artigiano, che deve essere necessariamente molto ferrato in quello che fa: ha il capo energico, il collo robusto, il petto nudo, il braccio forte, l'occhio vispo.
Non appena l'uccellino pigola ed esulta, e non appena l'alba spunta sulla collina, soffiando l'aria il poeta ritorna ad alimentare il fuoco poetico e l'ispirazione, e torna ad applicarsi nell'atto creativo;
e le idee balzano in mente e catturano l'attenzione, e paiono adatte e prendere forza, e le si rimettono in discussione e tornano a sembrare valide, e poi le si abbandona come uno zampillo che balza scoppiettando dal fuoco della creazione.
Quali siano le fonti dell'ispirazione poetica io non lo so; lo sa solo Dio, che pare illuminare con il suo raggio divino il poeta mentre crea. E nel flusso dell'ispirazione vanno a confluire le emozioni e la parte razionale dell'artista,
e confluiscono le proprie esperienze personali e la propria cultura e l'esempio della tradizione della propria terra. Il passato e il futuro si fondono nella massa informe dell'opera che va a formarsi.
Il poeta si impadronisce di questa massa informe e poi gli dà la forma voluta col lavoro del martello sull'incudine. Lavora sodo ma non gli pesa. La giornata volge al termine e la sua luce, la luce della vita, quasi si travasa sul poeta e la opera in corso di definizione.
Il testo prende forma. E prende la strada di vari generi: poesia per la libertà, poesia epica, poesia per offendere o per difendersi: per ambire alla gloria o per il gusto del bello.
Il testo prende forma. Ed ecco la poesia che celebra la storia patria [oggettivata negli altari dedicati al culto e ai penati], la poesia celebrativa in genere [i tripodi e gli altari vanno bene per ogni cerimonia], la più raffinata celebrazione di eventi del presente [i vasi e gli ornamenti per il convito].
Il poeta compone la propria opera meglio che può e agisce affinché venga accolta favorevolmente e si conquisti il riconoscimento degli uomini, per sé il poeta vuole solo la gloria, e questo gli basta.